domenica 1 aprile 2012

SUMMER CITIES



Triscina e Tre Fontane
(Mazara del Vallo, 2004) 
Ph: © 2004 Pier Paolo Raffa


Summer Cities (il Villino



- Breve viaggio tra le case al mare dei siciliani -

Summer Cities, ovvero: le città dell'estate. Luoghi ad alta densità di costruito, case non più case ma ville, anzi villini: mezze-città senza progetto e senza urbanizzazione in cui tra luglio ed agosto, e nei fine settimana, estivi migrano masse di persone che sfuggono alla città (quella conclamata) per spostarsi a dare vita ad un'altra città, temporanea ed in riva al mare. 
La città dei villini (caratterizzata da una tutta propria civiltà).
A questo luogo appartengono infatti consuetudini, azioni, riti, abbigliamento, tempi e modi del tutto peculiari.

E' una città temporanea fatta di un habitat cementizio, dove più dove meno, rifinito, ma sempre precario a causa della scelta di materiali costruttivi inadeguati al contesto marino, con infissi recuperati o di scarsa qualità, con coperture precarie o con leziosità da nuovo ricco, con alberi e rampicanti DENTRO casa ed erbacce FUORI. 

Il dentro ed il fuori dell'habitat é di solito importante nei contesti mediterranei, e propone delle evidenze chiarissime ma, in questi casi, al contrario, c'é una forte competizione tra il degrado costruito delle case e dei luoghi privati e quello in cui  é "naturalmente" lasciato lo spazio pubblico, la strada o terra di nessuno. 

I più fortunati, se così si può dire, hanno il villino indipendente, magari con il posto auto all'ombra; gli altri dividono, magari in famiglie estese, case a due o a tre piani. 
Case?? No!!  La parola é impropria: si tratta in genere di casermoni informi ed inconclusi, condomini abortiti,  dove la gente si accumula e si stratifica, in genere contenta di farlo. 

Radio a palla, immondizia, auto ovunque, clacson e doppia fila, pinne e secchielli, motorini a profusione, grigliate miste, gelatai con megafoni e comuni mortali che deambulano bianchicci o abbronzati in slip fuori luogo; ciabatte, coda al panificio, in un contesto di generale accalcamento, di caldo umido in cui i telefonini sono incastrati tra il costume e la pancia sudata, spesso per mancanza di tasche.

Lo scopo di tutti, in questi contesti, sembra essere il farsi il bagno, al mare, come le pecore o le capre condotte dal pastore a lavarsi e a fare la cura del sale. 

Dopo questo gesto tutti sono soddisfatti, ma a me viene da pensare ad una cosa abbastanza disgustosa che deriva da un facile calcolo: su una spiaggia come quella di Mondello  (la spiaggia di Palermo) in un giorno d'agosto verso le 14 ci saranno circa 100.000 persone: poiché quasi tutti fanno almeno una pipì facendo il bagno e considerato in mezzo litro una pipì media, posso affermare che la gente si fa il bagno in una soluzione di acqua di mare tiepida, alghe decomposte, e circa 50.000 litri di urina. Ogni giorno. 
Per capirci 50.000 litri sono 50 metri cubi che forse corrispondono ad una autobotte di carburante con rimorchio. 
Un bel pò per una spiaggia non grande come Mondello, in cui quando non c'é vento ed il mare é fermo, l'acqua rimane ferma per più giorni....... 

Questa tragedia sociale, comune a tutta l'Italia, dura dalla metà di luglio alla fine di agosto e si accentua il sabato e la domenica in un vero e proprio frenetico delirio. 

Sarebbe interessante scrivere di più intorno a questo argomento: spunti sociologici e affini non ne mancano, ma mi limiterò a proporre un pò di immagini, realizzate in inverno, a Villagrazia di Carini, vicino Palermo, a Triscina e Tre Fontane, queste ultime sono vere città fantasma (per dimensioni) vicino Mazara del Vallo. 

Mah...a chi piace......



SUMMER CITIES (Immagini dalla spiaggia)

Case al mare
Villagrazia di Carini (Palermo),  2008. 
ph: © 2008  Pier Paolo Raffa

- Il luogo rappresenta gli abitanti? A ciascuno il suo -














martedì 27 marzo 2012

Palermo, ritratto di una città senza orizzonte (Ovvero: Qui, come su Marte, non c'è vita) - 1/2 -



Palermo, ritratto di una città senza orizzonte


E' così come ne scrivo: guardare, valutare - e viverci - per verificare che a Palermo non c'è vita.

Non c'é vita pensante né creativa, non c'é critica né opinione, solo gli evvabbé perenni di una condizione malata. A Palermo, di fatto, ci sono solo attività economiche di mera specificità fisiologica.

Questa città è come un organismo biologico che consuma cibo ed energie espellendo il suo prodotto: i rifiuti. Qui non si produce nè si crea nulla. Nessun plusvalore. Niente pensiero. Nessuna qualità "altra" dal cibo, percepibile e da consumare sul posto.

Palermo è una città di colore grigio, di sporcizia, di rumore, una città stratificata sull'ipocrisia sociale e gestionale. Una città fatta di "dentro casa" e "fuori casa". Una città in cui lo spazio pubblico é terra di nessuno: una terra di nessuno buona per parcheggiare l'auto, per i cassonetti della spazzatura, per le cose che non tieni a casa.

E' una città composta da una società condominiale e passiva, una città popolata di gente conformista, omologata e silente. Una città di vecchi e di gente nata vecchia. E questa una città dove la gente vuol mostrarsi il più omologato possibile per l'incapacità e la paura di sapere gestire ogni propria - eventuale e possibile -, originalità. Qui se sei diverso, ma soltanto appena un pò, sei "pazzo" e "stravagante", fosse anche che non metti la cravatta.

Palermo é una città dove tutti stanno così-così.

Palermo é una città fatta, estensivamente, degli stessi palazzi che si trovano nelle periferie delle città sovietiche a cui noi tutti pensiamo con orrore e disprezzo senza renderci conto che ci viviamo dentro.
E' una città fatta di cemento, di periferia alla invasiva scala dell'intero territorio. Una città fatta di gente povera di risorse che, come può, costruisce il proprio mondo - evidentemente grezzo, sciatto, brutto - facendoselo piacere.

Palermo è adesso una sorta di grande baraccopoli/bidonville, non di lamiere ma di cemento: cemento con ascensori e odore di umidità e muffe, cemento ed intonaci cadenti.

Una città sporca e brutta che, come una vecchia zitella, per presentarsi si mette il cerone, poi la cipria e si dipinge le sopracciglia. E si fa vedere in giro.

Una città di gente accumulata, ammucchiata, che crede fermamente in una propria nobilitas definita da un importante reciproco e costante fenomeno di compiacimento generale e generazionale.

Una città di gente che urla quando parla, di gente dal parlare sguaiato, volgare e aggressivo. Di gente che vuol mostrarsi aggressiva e parla in dialetto stretto. E' un dialetto dal tono aggressivo il nostro, intrinsecamente: un linguaggio, di fatto, aggressivo. Le prime cose che si imparano da bambini, nelle scuole pubbliche, sono le frasi aggressive: frasi di una volgarità e di una aggressività dirompente se non paradossale e spettacolare che, rilette, permettono di ritrovare le origini di una società, e che vissute alla scala dei decenni permettono di capire dove questa società e questa città siano adesso.
Probabilmente questa aggressività mostrata attraverso il linguaggio é la stessa che usa la delinquenza organizzata - più nota come mafia -, e probabilmente gli stessi, per emulazione, sono i modi ed il linguaggio.

Palermo é una città caotica di poco caos ma di una anarchia incivile e senza rispetto. E' una società ed una città che non hanno i connotati di una varietà sanamente differenziata.

E' una città di "poveri" e di "ricchi": é questo il limitato ed elementare criterio di differenziazione sociale.

In questo luogo ed in questa società se la povertà corrisponde ad una miseria senza nessuna dignità, a cosa corrisponde la presunta "ricchezza"? Di cosa, effettivamente, sono "ricchi" quelli che qui passano per tali?

Mi viene in mente una battuta che un amico e collega architetto, peraltro iraniano, mi disse circa quindici anni fa: "mi trasferisco in California- disse - Ah, caspita, come mai?- risposi- Perchè qui a Palermo non c'è cultura e non c'è economia, ed un architetto non ci può lavorare (si era laureato da poco anche lui). Io gli chiesi di un avviato e redditizio commercio che aveva in città... Mi rispose esattamente così: Vado via perchè il commercio lo posso fare ovunque e poi in futuro non vorrei che mio figlio mi chiedesse : "Papà perchè sei stato così coglione da andare via dall'Iran per rimanere a Palermo?"

E' una città che come biglietto da visita spaccia maldestramente alcune "grandeur" storicizzate ed ormai mitiche quanto Polifemo: i turisti vengono presi in giro dalla definizione di "Conca d'Oro", dalle storie di una Palermo-araba sempre negata, e di un arabitudine che viene in genere associata ad un tono pregiudiziale e denigratorio dagli abitanti stessi.

In cosa consiste esattamente il valore aggiunto di fare "due passi" in una qualsiasi strada di Palermo? Me lo chiedo perché francamente io trovo difficile farlo e proporlo.

Perché non mi viene in mente altro che rumore di fondo, sporcizia - ovunque e della più varia tipologia - puzza, disordine assoluto in ogni cosa e, per farla breve non mi viene in mente proprio perché circolando in uno spazio pubblico sono in quella terra di nessuno che nessuno sente o percepisce come propria, che nessuno rispetta e cura, e in cui nessuno si riconosce.

Il colore di questa terra di nessuno é il grigio sporco e polveroso che caratterizza questa sciatta città e la sua società.

Grigie sono le strade, grigie sono le facciate dei palazzi, grigie sono le auto sempre sporche, grigie sono le facce delle persone, grigie sono le insegne sporche dei negozi, grigio é l'orizzonte di cemento e ferro che chiude l'orizzonte sul mare di questa città.

Palermo é una città senza orizzonte, dunque, é senza prospettiva.
Questa affermazione può avere una doppia valenza, retorica o reale.

Si, perché Palermo é una città sul mare che ha sempre negato il mare; di fatto l'intera costa palermitana, dalla periferia alla fine della città, é inaccessibile o vietata, nascosta o sgradevole per il livello di corruzione ambientale fin troppo evidente.

A Palermo quando ci si vuol disfare di una cosa si dice "buttalo a mare": qui il mare é la discarica, la sintesi e la madre di tutte le terre di nessuno.

E dunque al mare segue la costa, il litorale, detto anche "Water Front"secondo una espressione che tanto internazionalizza e piace a certi sapienti architetti-urbanisti,  i quali - proditoriamente -,  suggeriscono per questa città strategie più adatte a luoghi con una diversa esperienza, considerazione del bene comune e di rapporto con gli spazi pubblici.

Certo, "Water Front " é una parola che suona bene, che ben si arrotola tra la lingua ed il palato, ma nella realtà delle cose qui c'é solo il "Front": un muro.

Questo fronte, la costa appunto, é una barriera fisica presente quasi ovunque davanti al mare.

Cancelli, muri, cumuli di macerie, discariche e fogne. Il porto é blindato e militarizzato: se entri i militari ti chiedono dove vai. Non si può entrare per "vedere" le navi (lo facevamo)... Ad ogni modo ci sono i militari annoiati e con le armi da guerra che ti scrutano ruotando la testa come se fossi un contrabbandiere di sigarette.

Ma poi, perché mai ci sono i militari con i mitra al porto? Ah, si! ora mi ricordo! Bin Laden: attentati, terrorismo, porto uguale obiettivo strategico... ma allora perché non ci sono i militari di guardia al porto di Isola delle Femmine oppure a Lipari? Perché non sono obiettivi strategici del terrorismo, qualcuno risponderà... Ma anche lì d'estate c'é un sacco di gente!

La verità é che Palermo, nonostante le grandi arie proposte in giro dai coretti istituzionali, é una città di provincia, dove al massimo le bombe se le mettono da soli i siciliani et altri - magari "continentali" - tra loro e per regolarsi i propri conti.

Se vuoi fare casino, una cosa seria e "mediterranea", fai un attentato a Rabat o a Barcellona, ad Algeri o a Tunisi, forse a Roma, e se gli chiedi perché non si fa un bell'attentato a Palermo, magari proprio al porto, il terrorista islamico ti manda a cagare.

Forse per internazionalizzarsi, paradossalmente, servirebbe un bell'attentato da parte del terrorismo internazionale, quello "serio" beninteso... roba forte... ma non sarà (fortunatamente... - e lo scrivo perché ci sarà sempre lo scemo che leggendo il testo magari mi accuserà di chissà cosa -). 

L'attentato non ci sarà mai, perché l'immagine della Sicilia all'estero é molto legata ai cannoli ed alla loro dimensione, piuttosto che ad altre cose di interesse più strategico: ultimamente c'é stata anche una sorta di sagra paesana-urbana centrata su una gara in cui si celebrava chi riusciva a mangiare più cannoli.

Non abbiamo bisogno di difendere le frontiere con le armi, basta la politica e l'approccio locale a qualsiasi cosa per scoraggiare le invasioni e gli attentati.

Questo porto é grande, quasi come una città. E' vuoto, industriale, inaccessibile e scoraggiante.
E' escludente, più che esclusivo. Questa città è rumore, sporcizia, polvere, autostrade urbane e barriere ovunque. Muri disfatti, strade disfatte, infissi disfatti, persone disfatte, strade cieche in un labirinto urbano in cui, circolando, sembra di essere in un videogioco; perché nel videogioco guardi e cerchi il "nemico", quello che hai davanti, e relativa la micro-battaglia da affrontare, non alzi mai lo sguardo per guardarti in giro.

Anche perché, appunto, non c'é nulla da guardare, in giro: in un qualsiasi punto della città sei sempre e soltanto circondato da muri e palazzi e quando arrivi ai limiti della stessa città, ci sono i cancelli prima del mare. Senza orizzonte. Non c'é, l'orizzonte. 

Francamente Palermo é una città brutta, sporca e triste. Trovo difficile e sleale invitare qualcuno a venire qui a cercare condizioni di benessere. Viceversa é estremamente facile connotare precisamente tutto ciò che dà malessere. Io non scrivo questo per pessimismo e animo depresso, ma per coscienza della realtà locale: in ogni luogo urbano, metropolitano, di provincia o isolato, ci sono i pro ed i contro rispetto alla scelta di vita in quel contesto. La città di Palermo non offre dei vantaggi da me individuabili e che rientrino nell'equilibrio delle condizioni di una metropoli contemporanea.

Palermo non é la metropoli "euro-mediterranea"che viene spacciata dalle istituzioni e dai suoi ometti con giacchette grigie che la rappresentano, ma é un agglomerato urbano disordinato e caotico, gestito nella quotidianità e nei personalismi, come la bottega dell'angolo della strada. E' a tutti evidente la differenza tra la bottega ed un centro commerciale.

Non prendo qui l'argomento dell'offerta culturale e della relativa condizione che dovrebbe essere propria ad una città contemporanea poiché andremmo in un territorio senza nessuna vera evidenza né speranza e che peraltro non é disegnato sulle carte. Hic Sunt Leones*.

Le immagini che rappresentano questa mia opinione sono delle fotografie, e poiché le fotografie hanno una connotazione di oggettività, esse dicono - in linea di massima - come stanno le cose. Queste fotografie sono state realizzate tra il 2002 ed il 2004 durante dei reportages per l'editore francese "Actes Sud" e poi per "La Repubblica". La maggior parte di esse le ho realizzate con una specifica consapevolezza e in condizioni meteo-sociali particolari: sono infatti state realizzate unicamente la domenica, tra le 12 e le tre del pomeriggio, durante giornate di tempo grigio piatto ma luminoso e in genere con nuvole alte e senza ombre. La domenica infatti, a certi orari risulta evidente ed adatto ad essere reso in fotografia lo scarso dinamismo ed il grado di sopravvivenza vegetativa di questo organismo sociale che é la città di Palermo: una città, nonostante tutto.

In questa condizione viene fuori come quella parte della città che é bene pubblico, e dunque ogni spazio pubblico in senso estensivo, si trasformi in una condizione "border-line" di frontiera popolata da cani randagi (belli grossi e in genere innocui), qualche matto, talvolta Testimoni di Geova a coppie, ed altri personaggi che - come si dice delle lumache - "escono quando piove".

Ad ogni modo, se proprio dovete farlo, consiglio di visitare Palermo durante la notte: la bruttezza dilagante, la sporcizia invadente, risultano meno evidenti.




* Hic Sunt leones é una espressione latina che si traduce con "Qui ci sono i leoni". Era spesso segnata sulle carte dell'Africa tracciate dal medioevo al XVI secolo per indicare dei territori sconosciuti e probabilmente ostili.

Palermo, ritratto di una città senza orizzonte (Ovvero: Qui, come su Marte, non c'è vita) - 2/2 -

Palermo, ritratto di una città senza orizzonte   


- Immagini-


Spiaggia recintata
(a Palermo si usa così)



Recinto Invalicabile
(protegge la spiaggia dai frequentatori)



Venerabile 1
(abuso della credulità popolare)



Venerabile 2
(business - ce ne sono in giro più delle mosche a primavera -)



Duplex 
Fiume Oreto (Fogna)
e
Una Bella Zona della Città



Situazione Urbana



Passeggiata Lungomare



Qui era campagna



Cercando Goethe



Cercando Goethe con la Vespa



Questa è la città



Panoramicissimo Superattico 3000 €/ mq



Strada Centralissima



Cercando Goethe (sequel)



Centro Storico



Snack Bar



Natura morta con Vespa



10 Secoli di Differenza







VISIT PALERMO, LIVING PALERMO, ENJOY THE CENTER OF THE MEDITERRANEAN SUB-CULTURE (Ovvero: voglio aprire una FABBRICA DI PASTA)


Descrizione della città: un agglomerato di palazzi-dormitorio, costruiti senza progetto e accumulati tra strade sporche. Colore dominante: grigio.



Economia del luogo: assistenzialismo, finto-lavoro pubblico, speculazione di second'ordine e piccoli commerci. Tanti, troppi vecchi, ancora più vecchi perché rincoglioniti dalla loro abulia: pensionati che spendono le loro pensioni ancora nell'acquisto di pellicce per signore sformate e storicamente sovrappeso; sempre più spesso si tratta di televisori a grande schermo. 
Minoranza di giovani/meno giovani disoccupati, inoccupati, precari: tristi e senza sogni, senza sguardo, pavidi, conformisti, prevedibili, senza parola e senza parole. 
Essi sono talmente inconsistenti che, forse, alcuni di essi non hanno neanche l'ombra quando stanno al sole.

Lingua parlata: formalmente italiano. Realmente una sorta di bofonchiamento di parole in un costrutto sgrammaticato e gutturale che dà l'idea dell'ignoranza diffusa e dominante. Il massimo che ci si può aspettare é un discorso originato e concluso su quanto costa la vita dopo l'euro oppure "come stai-cosa fai"? Negli ambienti più raffinati ed intellettuali é certamente un'esperienza interessante sentire parlare le donne.

Popolazione: circa un milione di abitanti che per cultura si sentono uno più furbo dell'altro, che non hanno nessun senso civico, nessuna cultura urbana, nessuna sensibilità del concetto di "pubblico". Di fatto é un'agglomerato di persone, o - più appropriatamente- di pezzi di carne, che vive ancora sbirciando dietro l'uscio di casa, nell'invidia del prossimo, come nei paesi dell'entroterra isolano statico, incolto e pecoreccio da cui proviene, nella maggioranza dei casi, qui trasferito tra gli anni '50 e 80.

Tendenza: la Sicilia é sempre stata terra di feudo, e così rimane anche adesso all'interno dell'isola ma anche no. Gli abitanti delle città principali, costiere in particolare, essendosi emancipati dal servizio del feudo, si sentono tutti dei principi o nella peggiore delle ipotesi dei gran signori, e così si comportano tra cerimonie, matrimoni e atteggiamenti. Di fatto, a causa di una profonda, totale, strutturale ignoranza intorno a qualsiasi cosa, a malapena, la gente é in grado di distinguere un vino buono dall'aceto, e si beve tutto, comunque.

Attitudini: cultura locale rozza, autoreferenziale, fortemente classista e razzista che tende a considerare in termini dispregiativi tutto ciò che esiste al di fuori della portata degli occhi. Disprezza gli arabi come i rumeni, gli americani come i milanesi. Il palermitano disprezza, equamente Catania e Trapani, pensa che tutti i tunisini o i marocchini siano dei poveri disgraziati (e tunisino o marocchino é qui un aggettivo utilizzato in modo dispregiativo). Egli é fermamente convinto che il posto dove vive sia il migliore, il più bello, del mondo. In altri termini é gente chiusa ed ottusa, tribale, inesperiente, senza altra capacità che quella di confrontarsi con il proprio clan e il cui mondo si estende ad un raggio di circa due km al massimo dalla propria - in genere squallida e triste - residenza condominiale mezza muffita, stantia, e grigia, realizzata con materiali di scarto tra gli anni '60 e '70 e considerata come una sorta di palazzo reale di valore inestimabile.

Potenzialità per l'impresa: la cosa migliore da fare da queste parti é, in tempo di elezioni, aprire una fabbrica di pasta. Infatti questa é la merce migliore per comprare la gente su questo mercato, e, per la miseria dominante, ne bastano pochi chili a testa. D'altra parte il valore reale delle stesse persone, nella stragrande maggioranza dei casi, non eccederà il prezzo pagato. Se poi da questa gente vorrete avere il massimo, promettete due chili di pasta a datene soltanto uno dicendo che il resto "deve arrivare".

Cartoline dalla Terra Promessa (1/2)






Viaggiando, inevitabilmente, ci siamo confrontati con l'esistenza delle cartoline.

Tutti sappiamo cosa sono le cartoline e tutti sappiamo a cosa servono (anche se adesso le cartoline non hanno la stessa funzione di una volta). 

Siamo andati a Parigi e abbiamo mandato una cartolina, siamo andati a Venezia e abbiamo mandato una cartolina......Le azioni erano (e sono) sempre le stesse: scegli cartolina, compra cartolina, scrivi quello che devi scrivere, quindi francobollo e buca delle lettere....poi qualcuno la riceveva....

Dunque si va in un posto diverso, magari lontano, si va in un luogo verso cui c'è un desiderio, una ambizione, e la cartolina, se da un lato testimonia il tuo pensiero ad una persona, dall'altro testimonia la tua conoscenza, il tuo essere in un luogo.

E' anche da considerare che fino ad una ventina di anni fa (parlo da siciliano che lo ha vissuto sulla propria pelle), viaggiare anche per andare a Roma o a Firenze, non era nè banale, nè semplicissimo, nè soprattutto economico. E ancora meno i comuni mortali potevano considerare normale pensare di andare un week end a New York (posto che la cosa richiede ancora un certo sbattimento...) con la fidanzata.  Ma erano altri tempi, diciamo, a mia memoria, venti- trent'anni fa.....

Ad ogni modo, qui si parla di cartoline: cartoline che evocano, cartoline che si collezionano, cartoline che rappresentano e cartoline che si spediscono.  Molte altre analisi ed interessanti osservazioni mi vengono in mente sugli aspetti comunicativi, relazionali, psicologici o storici delle cartoline.

Mi chiedo: quali cartoline hanno rappresentato per lungo tempo Palermo? cosa riproducevano e perchè? 

Palermo negli anni '50, '60 e '70 era la terra promessa dei siciliani che vivevano nei piccoli comuni dell'isola (nei paesi, come dicono i "cittadini" attribuendo una connotazione sminuitiva alla parola). Spostamenti di popolazioni,  edificazione selvaggia, urbanizzazione residenziale a tappeto, sono strettamente legate alla organizzazione del controllo e della gestione del potere politico in Sicilia e a Palermo, e della Sicilia questa città è la capitale politica ed amministrativa. 

Dal dopo guerra agli anni '80 la città si è espansa a tappeto, saturando il territorio di un habitat cementizio stratificato e giustapposto, qualitativamente di basso livello progettuale sia estetico o tecnologico. Robaccia fatta da imprese e geometri ed ingegneri, nella maggior parte delle nuove realizzazioni. Robaccia comunque molto richiesta dalla gente a cui sfuggivano - e sfuggono tuttora - dei parametri propri di una vita civile in un habitat altrettanto civile e vivibile.
Ma tant'è ....si sa la roba economica si vende facilmente.....

Ritornando alle cartoline, io ne ho trovate alcune, che rappresentano, a mio avviso, l'immaginario di chi si "trasferiva" a Palermo dal "paese". L'immaginario del "paesano"...

Le cartoline sono un prodotto commerciale ed industriale come tanti altri: la realizzazione e la stampa di cartoline è un fatto professionale abbastanza specialistico e tecnico, nonchè relativamente costoso per via dei numeri di produzione necessari a riportare il prodotto in vendita ad un costo ragionevole.
Se qualcuno ha realizzato le cartoline che presento qui é perchè ne ha valutato la richiesta e ha sviluppato un prodotto che si sarebbe venduto: e vendendolo ci avrebbe guadagnato. Tutto normale. Tra l'altro, parlando da fotografo, devo dire che le foto utilizzate sono state fatte sicuramente con attrezzature tecniche professionali, tipo camera a banco ottico e simili. Dunque non si tratta di foto fatte per caso ma esse sono impegnative ed accuratamente progettate. Esse lo sono per una domanda di mercato e dunque per un pubblico di acquirenti. Migliaia di cartoline come queste sono state vendute e spedite a qualcuno. 

Perché questo argomento e perchè ne parlo?

Perchè queste foto rappresentano il mito e l'ambizione di una modernità relativa che la maggior parte della popolazione di questa città condivideva in un epoca recentissima. 
In questo contesto urbano e sociale si sono successivamente formate almeno un paio di generazioni.
Per circostanze personali circa trent'anni fa e più - ero già allora piuttosto rompicoglioni - ho avuto modo di conoscere da vicino delle persone, di estrazione molto popolare, originarie di Corleone: mio padre era il loro medico e quindi fummo invitati almeno un paio di volte a casa loro, in paese. 
A parte il fatto, soltanto folcloristico in questo caso, che erano imparentati con la famiglia Bagarella e dunque con Totò Reina, queste simpatiche signorine abitavano in una casa al cui piano terra viveva il mulo e la cui stalla comunicava direttamente con la scala della casa, dall'interno. 
Ovviamente non ricordo nè scaldabagno nè riscaldamenti nè altre simili amenità, ma non ne faccio certamente una considerazione snobistica, è soltanto per fare presente, a chi non ne ha idea, in che condizioni si viveva nei paesi siciliani da trent'anni fa al dopoguerra.
Prima del dopoguerra la situazione non me la immagino neanche. 

E' ovvio che, ricevendo quella cartolina, il cugino più sfigato di Corleone, di Favara o di Cesarò, stramazzasse di desiderio se non d'invidia, perchè è intuibile che del mulo, della sua puzza e di tutto quello che ruota intorno, ne fai volentieri a meno. Il poveretto riceveva la cartolina che probabilmente non era neanche in grado di leggere, abbagliandosi e sognando davanti a quegli edifici, a quelle strade, a quei cieli azzurri. Non era interessante mandare una foto di Piazza Marina, del Teatro Massimo o della Cattedrale, ma dei nuovi quartieri dove i più "fortunati"-  i cugini ricchi - si erano trasferiti, fosse anche per fare il portiere (è stato un fenomeno tipico di un epoca) dei "palazzi" ed abitare in stanze in cui anche una vecchia lavatrice, se avesse una coscienza, si deprimerebbe.

Guardando queste cartoline dai colori iper-saturi mi viene spontanea la penosa constatazione che ripropongo: i luoghi ritratti in queste foto sono rimasti fino ad oggi esattamente uguali a quelli delle cartoline, come l'intera città, come gli impianti degli edifici, come una intera società, come una intera economia fittizia, assistenzialista e profondamente malata.
Tutto è rimasto come trent'anni fa.

Ma il tempo passa, i cieli sopra le cartoline non sono più azzurri e quelle case-prodigio-della-modernità per i siciliani "evoluti", cascano a pezzi. 




ILLUSTRAZIONI A SEGUIRE 
in
Cartoline dalla Terra Promessa (2/2)

Cartoline dalla Terra Promessa (2/2)


Palermo, Via Ausonia



Palermo, Viale Regione Siciliana


Palermo, Viale Lazio

Palermo, Via Giuseppe Sciuti

La Gente di Sicilia ed i Suoi Saggi Proverbi

"MAI EDUCARE I VOSTRI FIGLI PIU' DI VOI STESSI"

questo proverbio, frutto della saggezza antica del popolo siciliano, diventa regola evidente frequentando da vicino la stessa società locale, e non necessariamente quella povera ed incolta, anzi, la formula risulta molto chiara e presente soprattutto in quel contesto pseudo "borghese" o "benestante"-  conformista e silente - , che è la popolazione delle città: la cosiddetta fascia "media". 

Sono quelli che sanno leggere e scrivere, ma che, in poche parole, non ragionano autonomamente. 
Signori con sguardo ebete e signore sovrappeso, annoiate ed in pensione, con i capelli cotonati e tutte con le stesse mechès bionde, che guardano le vetrine con le amiche parlando delle figlie grandicelle che gli sono rimaste sulla panza

Un articolo (http://www.bestofsicily.com/mag/art298.htm) interessante e analitico, ancorché in inglese,  tratta bene il tema, ed in particolare evidenzia quella che ritengo onestamente LA realistica prospettiva della società siciliana. 

Il testo é in inglese, e se non siete in grado di leggerlo direttamente andate sul traduttore di Google.

Sul sito www.bestofsicily.com trovate scritti e comunicati, pensieri, analisi ed opinioni, non sommatorie di parole inutili come quelle che spesso si trovano sulle guide locali di ristoranti dove si elencano TUTTI i ristoranti della città e  - guarda un pò - sono tutti buoni. 

Bisogna dirlo: i ristoranti siciliani, o meglio le trattorie camuffate da ristorante, sono spesso locali grigi, al neon, puzzolenti e untuosi, con un servizio sgradevole e supponente, con camerieri rozzi e buoni a nulla, spesso sono cari più che al centro di Parigi e con una qualità di cibo assimilabile al preconfezionato-riscaldato al microonde. 

La maggior parte ma non tutti: il problema è conoscere, discriminare, far sapere. 



Abuso di Credulità Popolare (oggidomaniunconcorso)






L' Abuso di Credulità Popolare è un reato...
    (...già, lo é...).


...mi chiedo però se in Italia non potrebbe, invece, essere inteso come il diritto di esercizio di un'attività di qualcuno che la sa più lunga degli altri nei confronti di una massa di polli che, appunto, polli intendono rimanere e che quindi è giusto che ne abbiano il destino. Ovviamente si parla di società, di comunità sociali, di grandi numeri, non del singolo povero disgraziato ignorante che viene sottomesso da una storiella e gli viene rifilato il pacco con il mattone anzichè la radiolina.

Va da sé che questa credulità popolare venga ampiamente sfruttata da una certa chiesa, cattolica e non, dei quartieri buoni e meno buoni che si appoggia sul bigottismo della sua platea di timorati di Dio, ma ancor più timorati di ragionare e di esprimere un pensiero, per farne strumento di sussistenza per preti e varia umanità di diversa specie e fede, spesso di un'opportunismo evidente, sempre di una ignoranza retrograda e agghiacciante. Non so se è più colpevole chi adesso è e fa l'ignorante, oppure chi gli piazza il pacco per proprio uso e consumo...

In un paese sottosviluppato come l'Italia e l'Italia del Sud in particolare, i politici hanno buon gioco nei confronti della credulità di un'intera società strutturata proprio sulla presunta rendita di posizione del presunto vantaggio indotto della presunta relazione personale con il tale o con il tal'altro. Basta dire di si - equivalente del dare l'assoluzione dai peccati - tanto poi se il miracolo non si compie questo fa parte del gioco e basta rifare una nuova puntata sul banco. Che vince sempre.

In Sicilia si dice "oggidomaniunconcorso...".
Quando cerco di spiegare ad un non siciliano questo modo di dire devo necessariamente far presente che la somma ambizione di un'intera società é ottenere un qualsiasi lavoro presso un pubblico ufficio. Un lavoro routinario e sempre uguale, poco impegnativo e molto garantista di ogni diritto e potenzialmente altrettanto poco restrittivo rispetto a doveri. Praticamente un'intera società ambisce a "sistemarsi", dove per sistemarsi si intende unicamente ricevere il cucchiaio in bocca, regolarmente. 

Ma solo chi è incapace di prendere il cibo da sè può accettare di essere imboccato. La società del Sud Italia e della Sicilia è una società di imboccati. Una società di malati. Un ospedale. Pieno di malati cronici. Malati figli di malati e genitori di malati. 

Io non ho mai ritirato la laurea , intendo dire il pezzo di carta di finta pergamena e con i vari ghirigori da appendere al muro...però se mai fossi denunciato e condannato per "Abuso di Credulità Popolare" ci terrei tantissimo ad incorniciare ed esporre quel pezzo di carta con la condanna piuttosto che la laurea stessa!  Come reato mi sembra fantastico perchè sostanzialmente dichiara che sei riuscito a fottere una banda di mezzi deficienti per vari scopi, certamente di lucro. Come pezzo di carta credo sia anche raro, tutto sommato. In un contesto insano ed ipocrita come l'Italia e la sua società, lo vedrei, insomma, come un diploma!

Un paio di foto per capire di che parliamo e da dove il discorso probabilmente parte ...





Mare Negato (1/2)

Mare Negato 





Mare Negato é un progetto fotografico che nasce nel 2002 come azione personale contro l'esistenza - paradosso e segno della diffusa e persistente inciviltà di questa terra siciliana - di un cancello lungo chilometri che chiude il libero accesso e la vista verso il mare, sulla spiaggia di Mondello, a Palermo, da almeno 50 anni

Lungo questa spiaggia sono state realizzate queste immagini che provano a raccontare due diverse possibilità di osservare e vivere un luogo: le sue possibilità e le sue obiettività in relazione alla vivibilità che gli è propria. 

I siciliani hanno tradizionalmente un cattivo rapporto con il mare, come peraltro spesso é proprio degli isolani. Leonardo Sciascia, probabilmente il maggiore interprete della sicilianità contemporanea, ha scritto e parlato su questo argomento: sulla potenziale e continua negazione di quel luogo che è la costa dell'Isola e del suo mare.

Le ragioni sono molte e portano lontano nella storia sociale, economica e politica dello stesso Mediterraneo. Io ho voluto prendere in prestito alcune significative frasi del grande scrittore siciliano per accompagnare la visione delle fotografie con la lettura di un breve e qualificato testo che potesse suggerire future e più personali riflessioni all'osservatore interessato.

...1039 chilometri di coste, 440 sul Mare Tirreno, 312 sul Mare d’Africa, 287 sullo Jonio: questa grande isola del Mediterraneo, nel suo modo di essere, nella sua vita, sembra tutta rivolta all’interno, aggrappata agli altipiani e alle montagne, intenta a sottrarsi al mare e ad escluderlo dietro un sipario di alture o di mura, per darsi l’illusione quanto più è possibile completa che il mare non esista...., che la Sicilia non è un’isola. 
Che è come nascondere la testa nella sabbia: a non vedere il mare, e che così il mare non ci veda.  Ma il mare ci vede.

Il mare è la perpetua insicurezza della Sicilia, l’infido destino; e perciò anche quando è intrinsecamente parte della sua realtà, vita e ricchezza quotidiana, il popolo raramente lo canta o lo assume in un proverbio, in un simbolo; e le rare volte con un fondo di spavento più che di stupore. 

Lu mari è amaru 
(il mare è amaro)

Cui po' jiri pri terra, 'nun vaja pri mari 
(chi può andare per terra non vada per mare)

Mari, focu e fimmini, Diu 'nni scanza 
(mare, fuoco e donne, Dio ci salvi)

E come lo zolfataro altro non era che il contadino strappato alla campagna, in effetti il marinaio altro non è che il contadino costretto al mare dalla necessità: il contadino che più non ritrova alle sue spalle la terra da coltivare e ha davanti il mare. 
E non è un caso che la più grande opera letteraria cha il mare abbia mai ispirato a un siciliano, diciamo, I Malavoglia, sia stata scritta da un siciliano del feudo e che in essa si muova una gentuccia che ha della vita il senso tragico e rassegnato, scandito in una vicenda immutabile, che è proprio del mondo contadino, ed è assolutamente sporovvista di quel tanto di noncuranza e di ardimento, di avventuroso e di imprevedibile, che è peculiare alla gente di mare e alla rappresentazione che di essa hanno dato altri scrittori.

Il mondo dell’Odissea è lontano: lo stupore delle albe marine, il senso della libertà e dell’avventura. Il mare è amaro. Dalle coste dell’isola, dai porti, nessun siciliano è mai partito per una conquista, per un’avventura. 

....la diffidenza del siciliano di fronte al mare e l’insicurezza delle coste non pare siano sostanzialmente mutate se non in peggio......sotto le apparenze di una vita più intensa ed attiva, il litorale siciliano riflette la degradazione della Sicilia interna. 
Le apparenze sono date da quell’assalto alle località marine, da quella corsa alla casa al mare, a cui ceto borghese e medio-borghese dell’isola (espressioni del tutto approssimative ad indicare le amorfe stratificazioni politico-imprenditoriali e burocratiche, entrambe ugualmente parassitarie, che si sono come “sedimentate” in questi ultimi anni) si sono votati.
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Tutto sta, in definitiva, nel togliere al concetto di demanio le incrostazioni della feudalità e del privilegio e nel tornare ad intenderlo nel senso di bene pubblico: ma non è operazione così semplice, in un paese come il nostro e specialmente in una regione in cui feudalità e privilegio sono sostanza di ogni apparente mutamento.
Leonardo Sciascia

Con queste immagini l’Associazione Sportiva Albaria, che ha la sede proprio sulla spiaggia di Mondello e che opera a favore della valorizzazione del luogo e delle attività sportive legate al mare, ha montato una riuscita campagna di denuncia contro l'esistenza e la tacita accettazione pubblica ed istituzionale di cancellate che andrebbero rimosse alla fine della stagione balneare e invece sono rimaste per decenni, anche nei mesi invernali - SEMPRE - a creare un muro e con esso, una distanza tra il mare e i cittadini. 

Ferro, punte acuminate, ruggine, pochi accessi al mare, "proteggono" da non si sa chi o cosa, e privatizzano una striscia di sabbia che si va assottigliando anno dopo anno e che offre in estate la vista di una “baraccopoli” di cabine estive che si amplia sempre più, triste e proletaria evocazione della villa al mare dei "signori". 

Cemento e impianti fatiscenti, scarsi servizi, nessun progetto e nessuna strategia tesa ad un miglioramento e ad una riqualificazione del luogo, nessuna immagine proponibile se non quella di un luogo deputato al "pediluvio" estivo. 

Ma se tutto questo certamente esiste e sussiste ancora, é soprattutto per la acritica accettazione delle cose che è usuale e radicata nella popolazione locale, per la quale, alla fine della storia, probabilmente il "pediluvio" estivo è effettivamente una condizione a cui aspirare nella scansione di una vita senza storia. 

Mare Negato (2/2)

Mare Negato


Mondello, spiaggia di Palermo, 2002