martedì 27 marzo 2012

Palermo, ritratto di una città senza orizzonte (Ovvero: Qui, come su Marte, non c'è vita) - 1/2 -



Palermo, ritratto di una città senza orizzonte


E' così come ne scrivo: guardare, valutare - e viverci - per verificare che a Palermo non c'è vita.

Non c'é vita pensante né creativa, non c'é critica né opinione, solo gli evvabbé perenni di una condizione malata. A Palermo, di fatto, ci sono solo attività economiche di mera specificità fisiologica.

Questa città è come un organismo biologico che consuma cibo ed energie espellendo il suo prodotto: i rifiuti. Qui non si produce nè si crea nulla. Nessun plusvalore. Niente pensiero. Nessuna qualità "altra" dal cibo, percepibile e da consumare sul posto.

Palermo è una città di colore grigio, di sporcizia, di rumore, una città stratificata sull'ipocrisia sociale e gestionale. Una città fatta di "dentro casa" e "fuori casa". Una città in cui lo spazio pubblico é terra di nessuno: una terra di nessuno buona per parcheggiare l'auto, per i cassonetti della spazzatura, per le cose che non tieni a casa.

E' una città composta da una società condominiale e passiva, una città popolata di gente conformista, omologata e silente. Una città di vecchi e di gente nata vecchia. E questa una città dove la gente vuol mostrarsi il più omologato possibile per l'incapacità e la paura di sapere gestire ogni propria - eventuale e possibile -, originalità. Qui se sei diverso, ma soltanto appena un pò, sei "pazzo" e "stravagante", fosse anche che non metti la cravatta.

Palermo é una città dove tutti stanno così-così.

Palermo é una città fatta, estensivamente, degli stessi palazzi che si trovano nelle periferie delle città sovietiche a cui noi tutti pensiamo con orrore e disprezzo senza renderci conto che ci viviamo dentro.
E' una città fatta di cemento, di periferia alla invasiva scala dell'intero territorio. Una città fatta di gente povera di risorse che, come può, costruisce il proprio mondo - evidentemente grezzo, sciatto, brutto - facendoselo piacere.

Palermo è adesso una sorta di grande baraccopoli/bidonville, non di lamiere ma di cemento: cemento con ascensori e odore di umidità e muffe, cemento ed intonaci cadenti.

Una città sporca e brutta che, come una vecchia zitella, per presentarsi si mette il cerone, poi la cipria e si dipinge le sopracciglia. E si fa vedere in giro.

Una città di gente accumulata, ammucchiata, che crede fermamente in una propria nobilitas definita da un importante reciproco e costante fenomeno di compiacimento generale e generazionale.

Una città di gente che urla quando parla, di gente dal parlare sguaiato, volgare e aggressivo. Di gente che vuol mostrarsi aggressiva e parla in dialetto stretto. E' un dialetto dal tono aggressivo il nostro, intrinsecamente: un linguaggio, di fatto, aggressivo. Le prime cose che si imparano da bambini, nelle scuole pubbliche, sono le frasi aggressive: frasi di una volgarità e di una aggressività dirompente se non paradossale e spettacolare che, rilette, permettono di ritrovare le origini di una società, e che vissute alla scala dei decenni permettono di capire dove questa società e questa città siano adesso.
Probabilmente questa aggressività mostrata attraverso il linguaggio é la stessa che usa la delinquenza organizzata - più nota come mafia -, e probabilmente gli stessi, per emulazione, sono i modi ed il linguaggio.

Palermo é una città caotica di poco caos ma di una anarchia incivile e senza rispetto. E' una società ed una città che non hanno i connotati di una varietà sanamente differenziata.

E' una città di "poveri" e di "ricchi": é questo il limitato ed elementare criterio di differenziazione sociale.

In questo luogo ed in questa società se la povertà corrisponde ad una miseria senza nessuna dignità, a cosa corrisponde la presunta "ricchezza"? Di cosa, effettivamente, sono "ricchi" quelli che qui passano per tali?

Mi viene in mente una battuta che un amico e collega architetto, peraltro iraniano, mi disse circa quindici anni fa: "mi trasferisco in California- disse - Ah, caspita, come mai?- risposi- Perchè qui a Palermo non c'è cultura e non c'è economia, ed un architetto non ci può lavorare (si era laureato da poco anche lui). Io gli chiesi di un avviato e redditizio commercio che aveva in città... Mi rispose esattamente così: Vado via perchè il commercio lo posso fare ovunque e poi in futuro non vorrei che mio figlio mi chiedesse : "Papà perchè sei stato così coglione da andare via dall'Iran per rimanere a Palermo?"

E' una città che come biglietto da visita spaccia maldestramente alcune "grandeur" storicizzate ed ormai mitiche quanto Polifemo: i turisti vengono presi in giro dalla definizione di "Conca d'Oro", dalle storie di una Palermo-araba sempre negata, e di un arabitudine che viene in genere associata ad un tono pregiudiziale e denigratorio dagli abitanti stessi.

In cosa consiste esattamente il valore aggiunto di fare "due passi" in una qualsiasi strada di Palermo? Me lo chiedo perché francamente io trovo difficile farlo e proporlo.

Perché non mi viene in mente altro che rumore di fondo, sporcizia - ovunque e della più varia tipologia - puzza, disordine assoluto in ogni cosa e, per farla breve non mi viene in mente proprio perché circolando in uno spazio pubblico sono in quella terra di nessuno che nessuno sente o percepisce come propria, che nessuno rispetta e cura, e in cui nessuno si riconosce.

Il colore di questa terra di nessuno é il grigio sporco e polveroso che caratterizza questa sciatta città e la sua società.

Grigie sono le strade, grigie sono le facciate dei palazzi, grigie sono le auto sempre sporche, grigie sono le facce delle persone, grigie sono le insegne sporche dei negozi, grigio é l'orizzonte di cemento e ferro che chiude l'orizzonte sul mare di questa città.

Palermo é una città senza orizzonte, dunque, é senza prospettiva.
Questa affermazione può avere una doppia valenza, retorica o reale.

Si, perché Palermo é una città sul mare che ha sempre negato il mare; di fatto l'intera costa palermitana, dalla periferia alla fine della città, é inaccessibile o vietata, nascosta o sgradevole per il livello di corruzione ambientale fin troppo evidente.

A Palermo quando ci si vuol disfare di una cosa si dice "buttalo a mare": qui il mare é la discarica, la sintesi e la madre di tutte le terre di nessuno.

E dunque al mare segue la costa, il litorale, detto anche "Water Front"secondo una espressione che tanto internazionalizza e piace a certi sapienti architetti-urbanisti,  i quali - proditoriamente -,  suggeriscono per questa città strategie più adatte a luoghi con una diversa esperienza, considerazione del bene comune e di rapporto con gli spazi pubblici.

Certo, "Water Front " é una parola che suona bene, che ben si arrotola tra la lingua ed il palato, ma nella realtà delle cose qui c'é solo il "Front": un muro.

Questo fronte, la costa appunto, é una barriera fisica presente quasi ovunque davanti al mare.

Cancelli, muri, cumuli di macerie, discariche e fogne. Il porto é blindato e militarizzato: se entri i militari ti chiedono dove vai. Non si può entrare per "vedere" le navi (lo facevamo)... Ad ogni modo ci sono i militari annoiati e con le armi da guerra che ti scrutano ruotando la testa come se fossi un contrabbandiere di sigarette.

Ma poi, perché mai ci sono i militari con i mitra al porto? Ah, si! ora mi ricordo! Bin Laden: attentati, terrorismo, porto uguale obiettivo strategico... ma allora perché non ci sono i militari di guardia al porto di Isola delle Femmine oppure a Lipari? Perché non sono obiettivi strategici del terrorismo, qualcuno risponderà... Ma anche lì d'estate c'é un sacco di gente!

La verità é che Palermo, nonostante le grandi arie proposte in giro dai coretti istituzionali, é una città di provincia, dove al massimo le bombe se le mettono da soli i siciliani et altri - magari "continentali" - tra loro e per regolarsi i propri conti.

Se vuoi fare casino, una cosa seria e "mediterranea", fai un attentato a Rabat o a Barcellona, ad Algeri o a Tunisi, forse a Roma, e se gli chiedi perché non si fa un bell'attentato a Palermo, magari proprio al porto, il terrorista islamico ti manda a cagare.

Forse per internazionalizzarsi, paradossalmente, servirebbe un bell'attentato da parte del terrorismo internazionale, quello "serio" beninteso... roba forte... ma non sarà (fortunatamente... - e lo scrivo perché ci sarà sempre lo scemo che leggendo il testo magari mi accuserà di chissà cosa -). 

L'attentato non ci sarà mai, perché l'immagine della Sicilia all'estero é molto legata ai cannoli ed alla loro dimensione, piuttosto che ad altre cose di interesse più strategico: ultimamente c'é stata anche una sorta di sagra paesana-urbana centrata su una gara in cui si celebrava chi riusciva a mangiare più cannoli.

Non abbiamo bisogno di difendere le frontiere con le armi, basta la politica e l'approccio locale a qualsiasi cosa per scoraggiare le invasioni e gli attentati.

Questo porto é grande, quasi come una città. E' vuoto, industriale, inaccessibile e scoraggiante.
E' escludente, più che esclusivo. Questa città è rumore, sporcizia, polvere, autostrade urbane e barriere ovunque. Muri disfatti, strade disfatte, infissi disfatti, persone disfatte, strade cieche in un labirinto urbano in cui, circolando, sembra di essere in un videogioco; perché nel videogioco guardi e cerchi il "nemico", quello che hai davanti, e relativa la micro-battaglia da affrontare, non alzi mai lo sguardo per guardarti in giro.

Anche perché, appunto, non c'é nulla da guardare, in giro: in un qualsiasi punto della città sei sempre e soltanto circondato da muri e palazzi e quando arrivi ai limiti della stessa città, ci sono i cancelli prima del mare. Senza orizzonte. Non c'é, l'orizzonte. 

Francamente Palermo é una città brutta, sporca e triste. Trovo difficile e sleale invitare qualcuno a venire qui a cercare condizioni di benessere. Viceversa é estremamente facile connotare precisamente tutto ciò che dà malessere. Io non scrivo questo per pessimismo e animo depresso, ma per coscienza della realtà locale: in ogni luogo urbano, metropolitano, di provincia o isolato, ci sono i pro ed i contro rispetto alla scelta di vita in quel contesto. La città di Palermo non offre dei vantaggi da me individuabili e che rientrino nell'equilibrio delle condizioni di una metropoli contemporanea.

Palermo non é la metropoli "euro-mediterranea"che viene spacciata dalle istituzioni e dai suoi ometti con giacchette grigie che la rappresentano, ma é un agglomerato urbano disordinato e caotico, gestito nella quotidianità e nei personalismi, come la bottega dell'angolo della strada. E' a tutti evidente la differenza tra la bottega ed un centro commerciale.

Non prendo qui l'argomento dell'offerta culturale e della relativa condizione che dovrebbe essere propria ad una città contemporanea poiché andremmo in un territorio senza nessuna vera evidenza né speranza e che peraltro non é disegnato sulle carte. Hic Sunt Leones*.

Le immagini che rappresentano questa mia opinione sono delle fotografie, e poiché le fotografie hanno una connotazione di oggettività, esse dicono - in linea di massima - come stanno le cose. Queste fotografie sono state realizzate tra il 2002 ed il 2004 durante dei reportages per l'editore francese "Actes Sud" e poi per "La Repubblica". La maggior parte di esse le ho realizzate con una specifica consapevolezza e in condizioni meteo-sociali particolari: sono infatti state realizzate unicamente la domenica, tra le 12 e le tre del pomeriggio, durante giornate di tempo grigio piatto ma luminoso e in genere con nuvole alte e senza ombre. La domenica infatti, a certi orari risulta evidente ed adatto ad essere reso in fotografia lo scarso dinamismo ed il grado di sopravvivenza vegetativa di questo organismo sociale che é la città di Palermo: una città, nonostante tutto.

In questa condizione viene fuori come quella parte della città che é bene pubblico, e dunque ogni spazio pubblico in senso estensivo, si trasformi in una condizione "border-line" di frontiera popolata da cani randagi (belli grossi e in genere innocui), qualche matto, talvolta Testimoni di Geova a coppie, ed altri personaggi che - come si dice delle lumache - "escono quando piove".

Ad ogni modo, se proprio dovete farlo, consiglio di visitare Palermo durante la notte: la bruttezza dilagante, la sporcizia invadente, risultano meno evidenti.




* Hic Sunt leones é una espressione latina che si traduce con "Qui ci sono i leoni". Era spesso segnata sulle carte dell'Africa tracciate dal medioevo al XVI secolo per indicare dei territori sconosciuti e probabilmente ostili.

4 commenti:

Ro. ha detto...

Sono a bocca aperta.
Non avevo letto i tuoi articoli; sono scritti benissimo e soprattutto sono di una lucidità, di una forza e di una appropiatezza che mi lasciano stordita e amareggiata. Beh, amareggiata è ormai una condizione costante nel rapporto con la mia città che non c'è. Io vivo in una città inutilizzabile e continuamente violata. Palermo è una città dove oggi il finto e il brutto sono indistinguibili ed il finto è alle volte più brutto del brutto.E non è una questione di gusti soggettivi; " il brutto e il bello " sono universalmente riconosciuti. Ogni epoca stabilisce e fissa una propria idea di bello universale.Palermo è una città "sbracata"fino alla periferia e sfibrata da un tessuto sociale mediocre e ottuso e falsamente tollerante.Una città di carta e muri, muri e carta.Palermo non si puo' vivere, puo' solo essere ricordata.

Mauro ha detto...

A lettura terminata non resta che porsi un'unica domanda:perchè il buon Dio, nella sua insondabile preveggenza, ha voluto ammassare in in un solo posto che in origine doveva essere simile al Paradiso terrestre, una così alta percentuale di merdacce? (il 70% dei palermitani lo sono).

Saluti da uno che Palermo ormai la vede solo in cartolina...

Anonimo ha detto...

Sono capitato qui per caso. Ho 21 anni e vivo barricato in casa nell'attesa di finire gli studi e poi scappare. Credo che i danni spirituali che questa città impone siano irreversibili, come esporsi alle radiazioni. Nasci con la voglia di cambiare il mondo, e più hai valore e capacità, più sai rimanere bambino, più questa città ti relega alle viscere della miserabilità. E' difficile amare una città come questa, troppo. Ti fa credere che non vi sia luce da nessuna parte in terra, che ogni speranza sia ormai tramontata ancora prima di sorgere. Cosa si può fare? E' ineluttabile il destino di fallimento di questo angolo di terra che sembra essere dimenticato? Probabilmente Palermo è la dimostrazione che a questo mondo esiste l'inconsolabile disfacimento. La gente si lamenta dei posteggiatori abusivi. La verità è che qui il male è molto più radicato, ha toccato l'apice e si è fatto marciume più che tangibile. E' il nulla questa città, ma di certo non il nulla spalancato sugli squarci del Nirvana.

bassfaldo ha detto...

Continuo a credere che non c'è solo il brutto a Palermo. La città è brutta, sporca, e tutto il resto che hai ben descritto. Ma tante persone lavorano duro e sono vessate da migliaia di brutali parassiti. Credo che tutto migliorerà quando i parassiti saranno più colti, più umili. Forse l'ozio e l'arroganza possono essere curati. Continuo a credere che qualche anno di esperienza in più ci farà cambiare. Ma forse è solo perché combatto da poco e non mi rassegno alla bruttezza. C'è tanto da fare a Palermo. Tanto davvero.